Don Alessandro Santoro, Il percorso della costruzione della pace

Estratto dell’intervento di don Alessandro Santoro al convegno che si è tenuto a Palazzo Vecchio, nella sala Firenze Capitale il 6 giugno 2025: “Medioriente senza armi nucleari”, con la partecipazione di Emanuela Bavazzano, Oliver Turquet, Marco Caldiroli, Giorgio Ferrari, Flavio Del Santo.


Tavolo degli oratori durante l'intervento di Don Santoro

 Intanto vi dico che il mio sarà un intervento molto ‘a pelle’, non ho preparato niente di particolare se non cercare di passare dentro la testa alcune questioni che mi stavano un po' a cuore.

 Provo un attimo a cercare di inquadrare tutto quello che per me dovrebbe essere la pace: mi sono domandato di come noi ci sentiamo rispetto a questa situazione che troviamo nel mondo e a come poter riuscire a sconfiggere questo senso di impotenza e debolezza, che a volte perlomeno io provo, rispetto a quello che il mondo ci propone.

 Parto leggendo una cosa che ho ritrovato in alcune trasmissioni radiofoniche che faceva Ernesto Balducci dove lui racconta che l'uomo non è ancora un uomo e a un certo punto lui dice così: “noi viviamo in un mondo assurdo e questo dovrebbe apparirci chiaro” - si parla degli anni 90 ed è di una modernità e attualità che è un po' sconvolgente -  “Ma per riassumere le ragioni che rendono evidente questa assurdità immaginate che venga da un altro pianeta un essere razionale e che prenda coscienza di quel che avviene, poniamo nel nostro paese, nel mondo occidentale, nel mondo evoluto.

 Ecco qui abbiamo città con migliaia di appartamenti vuoti e nella stessa città migliaia di famiglie senza appartamenti. Abbiamo una produzione straordinaria di alcuni frutti della terra che vengono distrutti dalle ruspe, mentre a due ore di aereo ci sono popoli che muoiono di fame. Dallo stesso pianeta terra, che ormai è un piccolo villaggio, si è calcolato che un gatto di Parigi consuma più cereale di un povero contadino dell'India.

 Gli animali del nord consumano più cereali che gli esseri umani del sud del pianeta. Sono assurdità enormi che naturalmente noi teniamo lontana dalla nostra coscienza perché abbiamo bisogno di una piccola porzione di tranquillità quotidiana. Questa mattina allora dovremmo domandarci perché c'è questa assurdità? Questa mattina do solo una risposta breve, ma una risposta su cui dovremmo ritornare più volte: a mio giudizio noi non siamo entrati ancora nella storia umana, siamo nella storia preumana, perché la storia veramente degna dell'uomo è quella in cui l'uomo si regola secondo ragione, secondo coscienza. Se invece si regola secondo la competizione, secondo la legge della foresta, l'uomo non è ancora uomo”.

 Ed è questo lo sguardo che vorrei avere e condividere con voi.

 Io credo che essere uomo di pace non vuol dire soltanto contrastare la guerra, ma vuol dire avere una posizione diversa da quella che tutti noi rischiamo di avere, anche rispetto al mondo che viviamo, alla realtà che ci circonda. A volte noi pensiamo che siamo pacifisti o siamo uomini di pace perché di fronte magari alla distruzione, alla distruttività di una guerra così prepotente, così massacrante, possiamo iniziare a fare qualcosa e sicuramente è molto importante andare in piazza, cercare di creare delle modalità per riuscire a contrastare, a gridare il nostro desiderio di pace, ma nello stesso tempo rischiamo di essere noi stessi come cittadini alimentatori di questo meccanismo di dominio e di guerra che è la nostra società.

 Io credo che essere uomo di pace è prima di tutto essere capaci in qualsiasi situazione (anche se nel mondo ci fosse una sorta di pacificazione, diciamo così, indotta, che poi è una sorta di addormentamento delle coscienze) di stare dentro il mondo senza essere, perdonate la situazione un po' biblica, nel mondo, ma senza essere del mondo. Essere capaci quindi di non essere asserviti a questa logica competitiva che noi rischiamo di riproporre anche nelle nostre logiche di pace. Pensate anche a tutte le divergenze che ci possono essere anche nel mondo pacifista, tutte le differenze che abbiamo, l'incapacità di potersi mettere insieme, pensando che nessuno possa avere un diritto di primogenitura oppure di appartenenza esclusiva rispetto a quello che facciamo. Mettere il timbro, il bollino dentro a qualche cosa che magari cerchiamo di fare: se non ci troviamo il nostro logo, con la nostra firma, ci indigniamo e cominciamo a fare guerra alle persone con cui cerchiamo di costruire un percorso. Perché la prima pace è nella capacità di contrastare un'azione con una cultura diversa, il modo di stare al mondo, dentro a questo mondo e, come dire, contrastare questo meccanismo, ed uso due parole per leggerlo, di questo sistema dominante, questo sistema competitivo, che noi purtroppo continuiamo, perché questo ci è stato infilato dentro, a riprodurre anche nelle nostre relazioni, rispetto a quella evidenza chiara del sistema competitivo e dominante che è la guerra.

 Il nostro sistema economico, il nostro sistema finanziario producono disuguaglianze e le disuguaglianze producono assolutamente violenza, sono sistemi violenti e questa violenza produce ed ha necessità comunque della guerra. Allora per andare a cercare di eliminare la guerra non c'è soltanto da contrastare la ‘guerra guerreggiata’, ma c'è prima di tutto, e forse prima anche di questo, di riuscire di essere pacifisti e quindi di opporsi alla logica dominante e alla logica in cui si muove il mondo. Domandiamoci se non siamo noi, pur essendo obiettori rispetto a questa guerra, nello stesso tempo obiettori ma anche alimentatori di questa guerra.

 Basta pensare dove ognuno di noi mette i soldi, per esempio tutti i sistemi finanziari, i sistemi economici, noi li consideriamo sistemi ineluttabili, sistemi che si possono tentare di contrastare perché possano fare meno male, ma a nessuno di noi, a quasi nessuno di noi, se non una piccola minoranza, viene in mente che c'è la necessità di ribaltare tutto questo. Io credo che la nostra pace dovrebbe essere una ‘pace sovversiva’, una pace che rovescia completamente gli elementi che leggono e reggono il mondo, che sono quella della competitività e della dominazione dell'uomo sull'uomo. E’ per questo che l'uomo non è ancora un uomo.

 Ernesto Balducci lo leggeva rispetto all'uomo planetario, tant'è vero che conclude il libro dell'uomo planetario con quell'espressione, che tra l'altro riprende dagli Atti degli apostoli, dove c'è Pietro che si rende conto che chi gli viene proposto davanti non è altro che un uomo. E lui ripete che io, di fronte allo scenario del mondo, al proscenio del mondo, non posso essere legato a nessuna rappresentazione del mondo, ma non sono più un uomo. E quindi ripartire da lì, senza nessun'altra aggettivazione, diciamo così, che possa completare il proscenio del mondo.

 Perché la logica del capitale è una logica di guerra e quindi è fondamentale che anche il nostro pacifismo debba essere un pacifismo, come dire, radicale, che quindi comprende un po' tutti gli elementi che sono parte della nostra vita: l’economia, la salute, la finanza, la scuola, l'educazione.

 Non è soltanto perché si parla del militare nelle scuole, allora dobbiamo indignarci. E’ anche per come si fa scuola, per come si ‘produce’ persone che rischiano di sentirsi, di essere, come dire, competitivi l'uno verso l'altro. E quindi noi facciamo scuola, magari ci indigniamo perché, giustamente, nella scuola magari ci va l'esercito a fare chissà che cosa e nello stesso tempo magari non abbiamo lo stesso impegno e attenzione a che la scuola possa diventare davvero una comune di pace, cioè una comune di educazione profonda, non alla competitività, ma davvero a un bene comune, a un riaprirsi verso la realtà, a una capacità di essere, di imparare e abituarsi a vivere la scoperta dell'altro. Di considerare l'altro come una possibilità, un'opportunità perché il mondo, perché io mi possa arricchire e perché il mondo si possa arricchire dalle diversità, dalle differenze che ci sono. Sembrano discorsi lontanissimi, sembrano discorsi per cui l'impotenza può anche crescere, no? Perché allora uno potrebbe dire, ma che cosa possiamo fare? Ma allora di fronte a questo, da dove dovremmo partire? Ecco, una prima risposta, ho cercato di darla: è certamente importante contrastare le guerre, è certamente importante mettere le bandiere della pace alla finestra, è certamente importante, ma è molto più importante andare a vedere se nella nostra filiera di pensiero, nella nostra filiera di azione, c'è la stessa coerenza, la stessa attenzione, la stessa capacità di opporsi a quel sistema dominante di cui noi siamo, non soltanto servitori, ma siamo probabilmente anche complici di quella guerra che cerchiamo di contrastare.

 Mi piace ricordare di fronte a questo che quindi la prima azione da fare di un pacifista è avere perlomeno un po' di strabismo e quindi avere sempre un occhio su quello che avviene, che è sicuramente inaccettabile, e quindi fare il tutto sapendo che per contrastare una guerra bisogna essere capaci di lavorare insieme e di pagare un prezzo, perché non basta assolutamente gridare che vogliamo la pace, bisogna fare e costruire azioni che possono portare a delle conseguenze che noi dobbiamo essere disponibili di accettare: conseguenze anche spiacevoli. Quindi vi invito anche a scegliere storie di disobbedienza. Ora a maggior ragione con il decreto sicurezza che dovrebbe essere anche un'occasione per riuscire a far vedere come le persone non si fanno bloccare, fermare dalla paura di poter essere, come dire, ‘illegali’. Io credo che di fronte all'illegalità furiosa di una guerra noi bisogna essere altrettanto disobbedenti di fronte a questa illegalità e costruire una legalità che riporti alla legalità. Credo sia importantissimo.

 Dall'altro, io credo che sia molto importante ricordare quello che Bobbio diceva e che vorrei rileggervi alla conclusione di questo mio ‘confuso parlare, tentennante parlare’. Dice così, Bobbio, che era anche un teorico della pace e sicuramente anche una persona con un certo pessimismo sul futuro: “qualche volta è accaduto che un granello di sabbia sollevato dal vento abbia fermato una macchina e anche se ci fosse un miliardesimo di un miliardesimo di probabilità che il granello sollevato dal vento vada a finire nel più delicato degli ingranaggi per restare nel movimento, la macchina che stiamo costruendo è troppo mostruosa perché non valga la pena di sfidare il destino”.

 Ecco, la pace vale la pena, ma l'agire della pace vale la pena. Non basta gridarla, questo agire la pace vale veramente la pena perché noi dobbiamo continuare a credere in questa assurda credenza, questa povera credenza, ma che potrà portare davvero un respiro nuovo anche alla storia di noi, anche dei più prudenti. Dobbiamo credere che i nostri granelli di polvere possono davvero fermare comunque questo ingranaggio. Io non so come, non so perché, ma questo nella storia è comunque avvenuto, perché la comune degli uomini, quando gli uomini diventano uomini e non rappresentano niente se non l'essere uomini, può riuscire a debellare la violenza, la dominazione con cui è costruito il mondo che stiamo abitando.



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