Turno su una zampa sola - 14 luglio 2018

Report su una zampa sola
La sera come sempre decido cosa portare con me per il turno e stranamente sono abbastanza veloce e all’ultimo tutto decido di preparare un sacchetto con qualche strumentino musicale, pensando a pediatria o psichiatria: l’obiettivo è di non essere sovraccarichi ma di avere con strumenti utili per lavorare con i pazienti e in mente avevo una esperienza precedente in psichiatria quando la cosa non funzionò particolarmente. Ma ogni volta è una storia a parte e quindi decido di prenderlo e di rimandare la decisione di portarli o meno in reparto con Caramella.
La mattina avverto un po’ di fatica, un misto di sensazioni che in qualche momento mi fa rimpiangere quel letto lasciato presto presto anche di sabato. Forse questo fa parte di quell’entrare nelle situazioni, e quindi nelle stanze, “con il piede sinistro”, come dicevamo al corso, in modo da sperimentare quella difficoltà che in realtà aumenta il nostro stato di allerta, la nostra concentrazione e consapevolezza. Come al solito so anche che una volta entrati e bene staccare (non del tutto) il cervello e lasciarsi andare a quello che incontriamo e ascoltiamo.
Ricordo che da adolescente, confrontandomi con una situazione di cecità, mi trovai a domandarmi se avessi dovuto perdere qualcosa di me, cosa avrei ritenuto la cosa peggiore: la vista, le gambe, le mani…. Ricordo che la cecità mi colpiva molto e la ritenevo una cosa tremenda, ma la cosa che mi avrebbe preoccupato di più sarebbe stato la perdita dell’uso delle mani, perché molto legate “al fare”. Poi la vita e le esperienze mi hanno portato a confrontarmi con limiti, perdite, handicap…. Ed ho riflettuto che spesso ci troviamo a “bloccarci” e lamentarci sempre per quello che non abbiamo o non abbiamo più e non per quello che abbiamo o abbiamo ancora. L’esperienza e le reazioni di mio figlio e di Nuvola mi hanno rafforzato ancora più in questo e confrontarmi con chi, nonostante le paure, la sofferenza, si è concentrato sulla vita, su ciò che avevano ed hanno, su ciò che “moriva” e su quello da far “nascere”, sulla “meraviglia, stupore, novità, difficoltà da superare” e che sarebbero arrivate. Federico sulla porta di camera, prima della operazione per la protesi, scrisse a pennarello “la vita non è ciò che vorresti, è il modo in cui l’affronti che fa la differenza”. Chi è capace di reagire così non è un supereroe, non è immune dalla sofferenza, ma ci è di esempio per capire come a volte si debba per forza “entrare con il piede sinistro” (in questo caso il destro) e non per questo farsi bloccare ma scoprirci per l’appunto meraviglia e una occasione. Grazie “Federichi”.
E’ così che mi ritrovo presto al mattino agli armadietti con Caramella pensando che sarebbe bello fra u po’ fare un turno con Nuvola o con lui scoprire un altro, scusate il temine, cammino da fare assieme.
Ci prepariamo e con Caramella, che mi permette di andare sempre con il “pilota automatico”, decidiamo di lasciare negli armadietti la clavietta e portare la borsetta con gli strumenti. Partiamo presto per stare un po’ di più in pediatria e per prima cosa ci fermiamo in psichiatria per capire “che aria tira” e regolarci con i tempi per accelerare negli altri reparti o dedicare di più a seconda della risposata. Ci viene detto di provare verso le 11.30 e così ci dirigiamo verso pediatria.
Ci sono molti bambini e anche ragazzi un po’ più grandi e 5 “piccole pulci” bellissime nate da poco che ti fanno alzare la glicemia istantaneamente.
Ci soffermiamo un bel po’ di tempo in una stanza con un bambino spagnolo, con una sospetta appendicite, con la splendida principessa M. in dimissione da una brutta otite perforante e, finalmente, dopo 2 juventini un ragazzo di 16 anni con pantaloncini viola. Si crea una bella situazione con piccole magie, palloncini e un po’ di musica coinvolgendo anche le madri. Più difficile col bambino spagnolo che stava piuttosto male e spesso con le lacrime e quindi dovevamo cercare di distrarlo ma senza essere troppo invasivi. Nelle altre stanze troviamo una piccola “teppa” attaccato alla flebo e affascinato dalle bolle di sapone ed i grandi sorrisi di un’altra principessa in sala di aspetto. Salutiamo il personale scambiando qualche sorriso e ci dirigiamo verso dialisi.
B. ci chiede con molta dolcezza del perché era tanto che non ci si vedeva (ma le altre volte dormiva) scambiamo un po’ di parole e di cura, un fiore per casa 3 con altri pazienti cerchiamo, a volte dividendoci, di capire lo stato d’animo e condividere i loro pensieri. Avvicinandomi con cautela a A. scambio un saluto e approfittando che non si trova nel pieno della crisi di emicrania mi soffermo, raggiunto anche da Caramella, a condividere i problemi delle vacanze, le fatiche, sofferenze della condizione anche per i familiari, la necessità di affrontare la difficoltà, consci che anni fa la situazione sarebbe stata molto peggio: quando ci fa vedere la foto della nipote le si illuminano gli occhi e questo fa aprire il cuore anche a noi.
Ci fermiamo nella stanza di M. e la troviamo con l’ossigeno e ci racconta che è ricoverata perché non sta bene: vediamo la fatica nei suoi occhi ma questo non impedisce di regalarci un sorriso e condividere la mano nella mano.
Piccolo pit stop prima delle scale ci dirigiamo verso psichiatria. Richiediamo se possiamo entrare ed alla risposta positiva ci incamminiamo verso le stanze. Ci fermiamo subito alla prima dove ritroviamo un signore di una certa età che era già stato ricoverato, mentre gli altri ci chiedono di suonare qualcosa e, su loro richiesta, ci dirigiamo verso il terrazzino. Dopo un po’ di parole con tutti metto la chitarra in modalità juke box cercando di rispondere alle richieste di tutti. L. parte con De Andrè e partecipa e si impegna in prima persona, poi su richiesta nomadi, Celentano, Vasco…. Questo permette di riunire assieme molti dei pazienti e a quel punto orna utile la borsetta degli strumenti dove ognuno deve tenere il ritmo assieme agli altri, inserire varianti e note. Questo lavoro con i pazienti permette al personale di lavorare su alcune situazioni e questo rende ancor più positivo l’intervento. Nel mezzo un abbraccio molto forte con R. finalmente nuovamente in piedi e in condizioni migliori del mese prima.
Alla uscita dell’ospedale mi ferma con aria molto disperata il padre del bambino spagnolo, facendomi capire che era stato ricoverato d’urgenza al Meyer con l’ambulanza accompagnato dalla madre ma che lui non sapeva come raggiungerli sentendosi “perso in quella situazione. Allora con Caramella decidiamo di scortarlo fino al Meyer con lui che ci saluta con delle grandi lacrime miste di grande preoccupazione per il figlio e, forse, anche un po’ di riconoscenza per questa piccola attenzione. Un abbraccio con lui e così il turno oggi termina al Meyer.
Pasticca


Commenti

  1. Grazie Pasticca per il reportage di una giornata così "piena"! <3

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