Il diario ZEN della Bicicletta di Pasticca (1)

Trovo molto interessante il rapporto fra l'andare in bici e la vita.

Andare in bicicletta per me (preferibilmente nei boschi in MTB, ma anche sulla strada) è anzitutto un modo per scaricare le tossine fisiche, psicologiche ed emotive. Questa è la motivazione più banale ma pur sempre profondamente vera. E' necessario un minimo di allenamento per fare delle escursioni interessanti, ma il risultato è sicuro! Come in tutti gli sport, anche se ci proponiamo per un livello ciclo-turistico, il rapporto con la preparazione fisica e l'allenamento sono dei buoni maestri.

Per me poi che "non stacco mai la testa" dai pensieri, la fatica, la bellezza dei posti dei panorami, la scoperta di luoghi che non avevamo mai visto, gli odori del bosco, gli incontri con altri bikers, la buona abitudine a salutare chiunque si incontri (come nelle camminate a piedi in montagna, al contrario di quanto succede in ascensore con il tuo vicino di casa...) e tutto il resto sono uno dei pochi modi per "staccare" e, così facendo, recuperare una parte di quella serenità e tranquillità indispensabile per affrontare le tante difficoltà del quotidiano.

Altro aspetto è il pedagogico rapporto con il respiro: molto spesso nelle situazioni quotidiane, soprattutto in quelle stressanti, "trattiamo male il nostro respiro" fino ad arrivare a respirare male (poco, iperventilato, non importa... male comunque!). Ci sono tecniche ed esercizi (yoga, vipassana...) che puntano molto su un uso e un controllo adeguato del proprio respiro: con la bicicletta, soprattutto in salita (dove sono particolarmente negato) un po' sei costretto a riscoprire l'importanza di un corretto utilizzo del respiro.

Poi ci sono molte piccole metafore, situazioni, spunti... che possono ritrovare riscontri importanti e utili con la vita: il rapporto fra la meta e il viaggio, la politica dei piccoli passi, la fatica (parente non troppo alla lontana della sofferenza e del dolore...) come rinnovata energia anziché come limite.

E' indispensabile partire con un "progetto", studiare un percorso, scegliere una meta, ma la cosa veramente straordinaria è il viaggio, al di la della meta, anche se la meta poi siamo costretti a cambiarla, per limiti nostri o esterni, o perché il viaggio ci ha permesso di scoprirne una nuova,  magari ancora più affascinante di quella  ipotizzata.

Nel rapporto con la fatica e nello scontro-confronto con i propri limiti ci troviamo un po' costretti a scegliere la politica dei piccoli passi, del concentrasi sul prossimo metro di strada e di salita (un po' come quando dobbiamo per necessità accettare di vivere alla giornata, "accogliendo" e cercando di sfruttare quello che questa ci proporrà...); se iniziamo a pensare troppo alla meta ancora troppo lontana le forze spariscono, le motivazioni scemano e la meta diventa ancora più lontana e irraggiungibile. Se invece ci concentriamo sul metro davanti a noi, "senza guardare troppo oltre",  ci accorgiamo che quel tratto "impossibile" lo stiamo percorrendo, riusciamo a superarlo, a volte siamo "arrivati in cima".

Così ci accorgiamo che questo percorso, come la vita, non è quello che è ma quello che ne facciamo, "i viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo" (Fernando Pessoa)


"Per la stessa ragione del viaggio: viaggiare" (Fabrizio De Andrè)




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