Dono, pensando a quanto sta succedendo oggi in Ucraina e in tanti altri posti, attorno a noi e dentro di noi...

Dono




Man mano che camminavo

sentivo sempre più nitidamente
un frastuono di grida e rumori.




Vidi
vetrine spaccate, auto in fiamme
e due gruppi molto numerosi di
giovani, ‘vestiti’ da studenti.
















Mi fermai di colpo,
forse per scappare,
ma nel brusco movimento
mi accorsi di aver urtato qualcuno:
mi voltai e
vidi
una ragazza per terra
con la chitarra a tracollo.

L’aiutai a rialzarsi,
lei si aggrappò a me
e con lo sguardo fisso nel
vuoto
vidi che
arrancava
con la mano
per sentire se la chitarra
si fosse rovinata:
era cieca.






















Cercai
confuso di scusarmi
e lei, con i lineamenti dolci del viso,
fece cenno che stava bene
e mi chiese cosa stesse accadendo
per strada.

Cercai,
un po’ impaurito ed impacciato,
di descriverle il caos
che in quel momento
divampava nella via:
i ragazzi che lanciavano sassi
ed oggetti di ogni tipo,
sfasciando tutto e
terrorizzando la gente.

















Lei
rabbuiò il volto
e stringendo più forte a sé la chitarra
si appoggiò all'entrata di un vecchio palazzo.

Ad un tratto echeggiarono
anche degli spari
ed inspiegabilmente i due gruppi
cominciarono a caricarsi fra di loro
con colpi di spranga e di pistola
ed una violenza inaudita.
















Gli occhi
delle case sulla via
si chiusero intimoriti,
come se queste non avessero più
né porte, né finestre
sopra quelle vecchie mura.
















Poi,
nuovamente uno sparo
ed un ragazzo cadde a terra
con le mani sul petto
tingendo anche l’asfalto
di quella assurda violenza.
















Vidi
che la ragazza
non riusciva a capacitarsi
cercando contemporaneamente
di immaginare ciò che stava accadendo.

Quando cercai
di descrivere cosa accadeva
cominciò a ripetere:
“non è possibile, non è possibile...
non è possibile!...”,
come se rifiutasse
ciò che aveva visto attraverso i miei
occhi.
















Si allontanò da me
e si accovacciò per terra
rannicchiandosi
in un abbraccio con la sua chitarra.


















Cercai
di riavvicinarmi a lei,
quando sentii arrivare la polizia:
dopo alcuni lanci di lacrimogeni
cominciarono a sparare ad altezza
uomo...
persone, lì per caso,
caddero a terra,
colpite da questa rabbia
più inutile
di due occhi che non vedono.
















La chiamai:
in quel momento
i suoi specchi,
che non riflettevano immagini
da chissà quanto tempo,
si riempirono di lacrime
che a me la
paura
aveva già asciugate.
















E quando
la presi per mano
per condurla verso un’uscita,
lontano da quel caos,
lei mi guardò
con i suoi occhi socchiusi,
si liberò la mano
dalla mia stretta inutile
e di scatto si gettò fuori del portone:


 












in quella via
del tran-tran
di tutti i giorni,
in quella via
nel tran-tran
di tutti i giorni...



Paolo, aprile 1981






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