Turno solitario

Turno in solitaria. Primavera non stava bene, la mattina mi sono arrivati il suo messaggio e  la sua telefonata ed ho deciso di fare il turno ugualmente. Ho già detto come la penso, sull’importanza di essere in due a fare il turno, non tanto o non solo perché ci facciamo compagnia, ma perché il nostro lavoro si integra, si completa, ci spalleggiamo a vicenda come è nel ruolo dei clown in generale:  riusciamo a prenderci cura meglio delle persone, a rispondere alle loro richieste di attenzione, a sopportare meglio noi stessi le fatiche e le difficoltà grazie alla “spalla”, a diversificare il nostro intervento, anche con sensibilità e modalità diverse. Quindi massima attenzione a fare in modo che i turni possano svolgersi in due e, quando si crei una difficoltà, essere pronti a segnalarlo e a dare la nostra disponibilità per un cambio.

In sala prelievi non ci sono moltissime persone e soprattutto non molte richieste di interloquire. Poi, senza le danze di Arancina, Caramella e Dora, tutto è più difficile… mi fermo allora con una coppia di anziani, lui rimasto colpito da una trombosi che per fortuna non gli ha tolto molta autonomia e che aveva lavorato anche alla mensa dell’ospedale. Ci soffermiamo a riflettere sulle cose che non vanno oggi, su quante cose si siano perse nelle relazioni fra persone, nel gusto del cibo etc… rimaniamo a parlare un bel po’, lui accenna anche qualche nota di canzone accompagnato dalla chitarra (quasi una serenata per lei), poi arriva il loro turno e ci salutiamo con grande affetto.

Dirigendomi verso la dialisi trovo una sala cardiologia – gessi gremita con molti bambini e non posso non soffermarmi un attimo. Bello che bambini e adulti presi da preoccupazioni o da smartphone inizino a giocare assieme facendo sì che la sala sia un tutt’uno. Un bambino all'inizio molto chiuso e timido alla fine era diventato assistente mago e ponte verso gli altri e avrebbe incominciato una partita a pallone che il luogo rendeva inopportuna. Non voglio rubare troppo tempo a dialisi e psichiatria e con molti sorrisi di saluto mi dirigo verso il reparto. G mi accoglie con un “ecco, ora il mio week end è diventato stupendo”: anche troppo, ma fa piacere. Purtroppo non possiamo interagire molto perché le sue condizioni non sono delle migliori e comunque anche solo a parlare si agitava un po’ e questo non era buono per la terapia. Mi allontano quindi dopo un caloroso saluto e essendo solo cerco di soffermarmi ad ogni letto che lo richiedesse e dove sembrasse opportuno. A volte solo una carezza sulla mano (adeguatamente disinfettata prima), qualche parola, in altre occasioni un po’ di serenate con il supporto di S, cantante provetta. Lascio “la mia fidanzata” più luminosa e sorridente di come l’avevo trovata e lancio un abbraccio a G passando da davanti la porta, contento di vedere nello sguardo di una dottoressa l’approvazione per la nostra presenza in reparto.

Prima di dirigermi in psichiatria mi rifocillo al bar con un succo di frutta e, a parte un po’ di pazienti e clienti a cui strappi un sorriso compiaciuto, mi trovo accanto una donna alta e bella con suo figlio. Lui non staccava lo sguardo dal gioco sullo smartphone, non rispondendo alle sollecitazioni e a agli inviti della madre: la fine sarà che lei imbocca la brioche al bambino che continua a tenere lo sguardo sul telefono anche mentre morde la brioche. Sono tentato di intervenire, ma poi, anche per una questione di tempo, mi limito a fare un palloncino e darlo al bambino. Finalmente alza lo sguardo e sorride giocando qualche attimo con la madre prima di rituffarsi sul telefono. La madre mi guarda con lo sguardo di chi dice “cosa devo fare”?... o per giustificarsi:  Ie avrei delle risposte o dei consigli ma non avevo il ruolo in qual momento per farlo e nemmeno era la situazione giusta e quindi mi dirigo verso una psichiatria molto affollata.

Mi trovo a soffermarmi in una stanza con 4 donne, 3 molto presenti, una con gli occhiali da sole che non si capiva se e dove guardava, una ragazza sorridente ma chiedeva di non essere coinvolta. Iniziamo (… l’abitudine e il bisogno del turno in 2 che viene fuori….) a parlare con le altre 2 donne, una delle quali sarebbe stata dimessa lunedì. Provo ad affacciami anche nelle altre stanze, alla ricerca anche di un ragazzo che aveva offerto il caffè a tutti,  ma sarebbe stato un lasciare una cosa a metà, quindi riprendo la condizione con le 2 - 3  donne. Dopo le parole e la condivisione abbandono l’idea della musica per non disturbare la quarta e provo qualche piccolo gioco di magia come scusa di gioco per pensare ad altro e scoprire che a volte si possono fare cose incredibili di cui non immaginavamo la possibilità: la fine è che anche la 3 signora si avvicina e chiede di partecipare e la quarta accetta un ruolo da arbitro della situazione. Quando troviamo la “parte sana” di alcuni questo facilita lo stimolare la stessa cosa in altri che all’inizio sembrano dimostrare grande chiusura. Avvicinandosi l’ora del pranzo invito tutte a andare in terrazza e li ritroviamo il ragazzo molto turbato che aveva offerto il caffè e G, incontrato purtroppo altre volte in reparto,  che dice alla zia al telefono “senti ora c’è il clown Pasticca per me” e subito dopo attacca il telefono alla sorella dicendole che doveva cantare con il clown. E’ così preso dalla musica che ritarda, anche a causa della sigaretta, un po’ il pranzo:  allora rimango con lui e lo invito a mangiare comunque qualcosa anche se aveva da poco fatto colazione. Così avviene, non prima di aver chiuso, dopo un po’ di De Andrè, con una canzone un po’ burlesca come “Teresina”.

Mi trattengo qualche minuto a pranzo e condividiamo con tutti una canzone finale un po’ romantica: ad una delle 2 signore di prima scorre una lacrima, vedo se è il caso di smettere, ma poi mi guarda con approvazione, la saluto assieme agli altri è ormai quasi mezzogiorno e mezzo e esco con la dottoressa dal reparto.

Nel corridoio incontro un amico conosciuto 15 anni fa agli eventi per i Cri du Chat,  lo vedo zoppicare e gli chiedo come si fosse fatto male: sclerosi multipla… ci lasciamo con qualche idea di cui riparlare e vado a cambiarmi e soffermarmi con Spadino che nel frattempo con non poca fatica e difficoltà (per il terreno umido) si stava prendendo cura del giardino: almeno il turno non è stato del tutto da solo.

I care.
Pasticca





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