Gaza, Palestina, maggio 2017




"...se siamo nati per diventare adulti come tutti gli altri, le idee precostituite si dispongono facilmente nella nostra testa, a mano mano che si cresce. Ma se noi siamo nati per svolgere un lavoro particolare, che richiede di osservare bene il mondo che ci circonda, le cose non sono più così facili. Le idee precostituite si rifiutano di rimanere nella nostra testa..." (M.Druon)

Al secondo giorno di missione già sembra aver vissuto un'altra vita, un bagaglio di nuove esperienze, incontri, emozioni, conoscenze come se fossero stati 5-6 anni della vita quotidiana normale.

La stanchezza é tanta, anche se le persone attorno mi chiedono "ma non ti fermi mai"? "Facciamo una pausa"?...... anche quelli che hanno 20-30 anni meno di me. Ma io seppur non voglio strafare e voglio stare bene, non voglio buttare via nulla, non voglio sprecare tempo. Ci pensa già la nostra società a farci correre tutti i giorni per molte cose di poca importanza e valore, quando abbiano la possibilità di non farlo, perché buttare via il tempo? I quasi 60 anni in certi momenti si fanno sentire, ma come ho già detto, la passione, il sapersi gestire, la voglia di fare e di scoprire, i nuovi incontri, gli abbracci ti fanno dimenticare spesso la stanchezza. 

La missione a Gaza è partita un po’ in salita, troppo vicina a quella nei campi profughi Saharawi, incerta fino agli ultimi giorni, in un momento di preoccupazione per alcune vostre situazioni familiari e di lavoro, con qualche pensiero per la situazione che avremo trovato.

Ma avevo fatto una promessa e le rassicurazioni ed il supporto di alcuni e le motivazioni dentro di me hanno fatto propendere anche razionalmente per questa scelta.

Della situazione di Gaza, le sensazioni e la conoscenze acquisite la prima è la conferma di quanto sia tutto assurdo. Le stesse persone che alzano i muri sono chiusi da questi muri, le persone che reagiscono con violenza alla violenza subita ne rimangono essi stessi vittime. A volte dovremmo fermarci e capire che la direzione verso la quale andiamo è sbagliata, che possiamo avere torto o ragione, ma a volte dobbiamo comunque cambiare direzione per raggiungere l'obiettivo, per dirigerci verso le cose importanti davvero, quello su cui dovremmo focalizzarci se non fossimo pieni di idee precostituite. Discorso lungo lo so e anche facile farlo se non si è toccati direttamente dalla violenza e dalla libertà negata, ma toccarlo con mano in situazioni come queste, dove la vita e la libertà sono a grave rischio, quando non sono addirittura negate, ne aumenta la chiarezza dentro di noi.

Il fatto di avere accanto una organizzazione governativa come il CISS rende tutto più semplice, tranquillo e sicuro, nei limiti del possibile. Lo rende più facile anche e soprattutto per le persone che ci supportano o con le quali lavoriamo. Tanto alla fine quello che conta è sempre la persona, siamo noi.

Il lavoro è stato positivo, per noi e credo anche per i clown della scuola di circo di Gaza e le persone con cui abbiamo lavorato. La condivisione dei turni in 2 ospedali di Gaza con i clown di qui (presso l’ospedale pediatrico Al Nasser e quello di Al Rantisi ) e le 2 sessioni di corso che abbiamo tenuto a circa 12 di loro sono stati molto impegnativi ma proficui. L'apprezzamento da parte di persone che fanno questo di mestiere da un senso a questo percorso cosi compresso e tenace fatto in questi ultimi anni e l’importanza di questo riconoscimento deriva anche dalla sua valenza umana, affettiva, emotiva: le lacrime di qualcuno hanno per me rappresentato molto di più di qualunque dichiarazione, discorso e riconoscimento.

Per quello che abbiamo potuto e saputo si è cercato di insegnare e lavorare su alcuni aspetti della relazione con il bambino malato ed anche con i suoi familiari e, ovviamente, in questa condivisione abbiamo appreso molto noi stessi come sempre accade.

L’uscita da Gaza, non solo quella, ma soprattutto quella, ha innescato in me ricordi e déjà vu della storia che non pensavo di provare dopo tutto quello che avevo letto, visto e appreso su quanto i popoli avevano subito in altri periodi della nostra storia. Pensavo che questo creasse degli anticorpi in chi aveva subito certe atrocità. Vedere ricostruite e riperpetuati, con tutte le dovute differenze e distinguo, certi meccanismi  è stata per me una pugnalata, perché l’ho vista co i miei occhi e non me l’hanno raccontata.

Non meno importanti e significative sono state le visite nella West Bank, a Gerusalemme est, nella città vecchia (con la sua suddivisione nelle quattro parti relative alle relative religioni), a Ramallah e, soprattutto a Hebron. Molto ci sarebbe da dire su quanto abbiamo e incontrato ma chiudo con la sensazione di rassegnazione colta in molte persone incontrate mentre altri cercavano di imporre il proprio volere chi con le armi. La riflessione dentro di me però è stata: è una vittoria questa?  E’ una vittoria vivere contornati da muri, filo spinati e check point? Quello che mi porto a casa è la voglia di far incontrare e giocare assieme bambini israeliani e palestinesi, ebrei, musulmani, cristiani, armeni…. Imparare assieme, non insegnare, che apparteniamo ad un’unica razza, quella umana e che niente è più dirompente di un abbraccio.  Altrimenti aveva ragione il ragazzo incontrato in una casa di Hebron quando dopo che mi aveva raccontato del tentativo di impossessarsi della sua casa, 3 suoi fratelli erano stati uccisi e io gli ho chiesto:  “What do you think about your future, about the future”? E lui mi ha risposto senza pensarci ha risposto : “I’ve no future”

Pasticca

Collage Foto clown Gaza



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